Selvatico [tredici] 2018
Fantasia/Fantasma
Pittura tra immaginazione e memoria
A cura di Massimiliano Fabbri
Fantasia/Fantasma
Pittura tra immaginazione e memoria
A cura di Massimiliano Fabbri
Selvatico
disegna una mappa che congiunge luoghi, musei, gallerie ed edifici
storici diffusi nel territorio romagnolo, intrecciando questa
pluralità di spazi, e le storie contenute in essi, all’interno di
una geografia e percorso espositivo che coinvolge e connette opere e
artisti contemporanei, con una particolare attenzione rivolta qui
alla pittura e a quella che sembra, a tutti gli effetti, una sua
ennesima stagione felice.
Non
che la pittura sia mai stata abbandonata a dire il vero, o che questa
fase rappresenti un ritorno inatteso a questo linguaggio dopo anni di
silenzio, deserto e nascondimenti, anche se è evidente che da parte
di una fitta schiera di giovani autori la pratica del dipingere è
tornata a essere nuovamente centrale. E tangibile poi il
moltiplicarsi vertiginoso di mostre che si impegnano a fare luce su
questo mezzo e a scrutarlo e indagarlo, senza per questo poter mai
scrivere la parola definitiva, trattandosi sempre e comunque di un
linguaggio imprendibile e sfuggente proprio perché vitale.
Selvatico
propone così, come è stato nelle sue ultime edizioni, a cui si
ricollega come ripresa di un filo e discorso interrotti e sospesi,
una serie di mostre che guardano principalmente alla pittura.
E
dall’esplorazione sulla pittura italiana riparte senza tralasciare
al contempo alcune delle sue molte ramificazioni, ibridazioni e
innesti con altre discipline tra cui disegno e scultura, fumetto e
installazione, a ribadire la mobilità, vivacità e forza di questo
mezzo, linguaggio, disciplina e mondo.
Cuore
e centro del progetto è il Museo civico Luigi Varoli di Cotignola
che, anche a partire dalla felice vicenda rappresentata dal cenacolo
varoliano in bassa Romagna nella prima metà del novecento, traduce
questa esperienza e la riattualizza, allargando ed espandendo questa
vocazione ostinata che mira a favorire, portare e coltivare l’arte
in provincia come presenza necessaria, vitale e urgente. Lo fa
guardando a piccole realtà, facendo rete, e segnalando sempre il suo
sguardo periferico e il suo operare ai margini, una sorta di giusta
distanza che diventa una delle chiavi per cercare di orientarsi,
esplorare il presente, guardare il mondo e rilanciare domande.
Una
provincia che sembra poter essere ancora, quasi resistente o
dimenticata, panorama e scenario disponibile all’incontro, al
confronto e dialogo, anche a ribadire una caratteristica propria e
specifica del territorio italiano tutto, vera e propria costellazione
di piccoli centri che rende luoghi, paesaggi, presenze e
testimonianze artistiche un prezioso unicum, indivisibile e fatto di
diversità, cucito lentamente da scambi, rimandi, incontri, influenze
e aperture.
Un
tessuto su cui Selvatico prova a innestare nuovi sguardi, quelli di
una serie di artisti di varia provenienza geografica, tra giovani
autori e altri più affermati e conosciuti, capaci di attivare una
relazione fertile tra luoghi e opere e operatori, tra il vicino e il
lontano, tra una dimensione locale non arroccata o impaurita e una
nazionale.
Ascolto
e coltivazione sono le modalità di questo progetto che mette al
centro i musei, intesi non solo come contenitori e raccolte, ma anche
come luoghi di produzione aperti al contemporaneo e custodi di
un’identità mobile e sempre in trasformazione.
Un
ruolo, una collocazione e vocazione che caratterizzano Selvatico come
sguardo e spazio indipendente tra le cui funzioni c’è sicuramente
quella di cercare di offrire e segnalare punti di vista altri,
assumendo rischi nel disegnare traiettorie divergenti e non
somiglianti, acquisendo modi di fare e vedere che seguono pratiche e
movimenti diversi rispetto a quel che può avvenire in un sistema che
invece non sembra poter prescindere, nel bene e nel male, dal valore
del mercato e dell’economia.
Dopo
le mostre del 2017 che avevano a che fare con l'immagine e ombra
della foresta, metafora vegetale del dipingere e della pittura
stessa, e anche sguardo che si volgeva all'attenzione da parte di
molti artisti al dato naturale e sua rappresentazione, il prossimo
episodio di Selvatico parte invece dall’incontro, coesistenza e
giustapposizione di due termini, Fantasia/Fantasma, a segnalare più
che un tema specifico o un'umore, un’affinità o radice comune
presente nelle due parole, un intrecciarsi e sfumare che ci sembra
abbracciare bene la condizione propria del formarsi delle immagini,
prima ancora dei contrasti e divergenze apparenti tra le due
suggestioni e concetti, che infine si rivelano non del tutto
separabili, ma estremi di una polarità.
Emerge
qui una tensione, anche drammatica, che è della rappresentazione e
propria della pittura, da una parte il rischio costante e l’insidia
della possibile sparizione dell’immagine dovuta al suo
stratificarsi in pelli che negano e sommergono segni e gesti
precedenti, e, dall'altra, una sua capacità di dare spazio alla
narrazione e alle storie, dove il dipinto è ancora finzione,
trappola e macchina scenica, inganno, finestra che si apre e affaccia
spalancando mondi, e in cui il mondo è, non solo ricordato o visto,
ma immaginato e fantasticato ogni volta; o ricondotto a sintesi e
precisione misteriosa di pura immagine fatta da segno tremante. E
pittura che in un gioco di specchi riflette su se stessa.
Due
o più direzioni, non per forza in contrasto o alternative, ma molte
volte scivolanti e slittanti l’una all’altra, capaci di nutrirsi
a vicenda, o di ostacolarsi e battagliare.
Pittura
come animale o forma collettiva, oscillante tra racconto e
sparizione, ora descrittiva, esatta, sintetica o ricca di dettagli,
ora vicina alla perdita e all'abbandono, come impegnata in una sorta
di lotta e tentativo per salvare residui e pezzi di visione, memorie
e tracce del tempo che si sommano e crescono e negano coprendosi
quasi pompeianamente. O, per opposto, il ricorso al non finito
ancora.
Fantasia
e fantasma, o anche immaginazione e memoria: due parole che hanno la
stessa origine a ribadire una radice comune delle immagini e del
processo mentale che ci porta a pensarne e farne di nuove, o a
tradurre, trasformare e tradire quelle già esistenti.
La
mostra affianca queste molteplici direzioni e polarità della pittura
contemporanea, contrapponendole talvolta, integrandole
indistinguibili altrove, tracciando nuove piste e sentieri che
conducano fuori dal bosco o che ci sperdano in esso.
Teste
e foreste, memorie vegetali, paesaggi con figure, scenari, luce e
ombra, le cose e gli oggetti come custodi muti delle storie,
animali, fiabe e racconti.
L'idea
della mostra gira intorno a uno scritto di Gianni Celati intitolato
Sulla fantasia contenuto in “Conversazioni del vento
volatore” edito da Quodlibet nel 2011. Ne riportiamo qui alcuni
passaggi che sembrano adattarsi bene, non solo al processo e farsi
del pensiero e delle immagini, ma anche alla pratica stessa del
dipingere:
Il
fatto è che noi ci serviamo della fantasia tutti i momenti per
interpretare le cose, cercando di capire quello che è fuori dalla
nostra portata; e tutto il nostro sistema emotivo dipende da come
immaginiamo ciò che non è sotto i nostri occhi. Quando abbiamo
paura, quando siamo a disagio, quando siamo gelosi, quando facciamo
progetti, entra in gioco l'atto del fantasticare. Quando siamo
innamorati non facciamo che ripassarci il film delle fantasie
sull'essere amato, e anche quando riflettiamo cerchiamo aiuto
nell'immaginazione o nella fantasticazione. Il fantasticare è così
assiduo che lo diamo per scontato. Però se si inceppa abbiamo un
campanello d'allarme, che è la noia: la noia è una specie di nebbia
mentale che blocca gli slanci immaginativi, e rende fastidioso il
flusso di stimoli che viene dal mondo esterno.
(…)
Aristotele
chiama in due modi le immagini che sorgono dalla mente: phantasma
e phantasia, entrambi dal verbo phaino, “mostrare”.
Sono figurazioni che “si mostrano” in noi come un richiamo a
percezioni avute o possibili. Queste immagini della mente, dice
Aristotele, sono una combinazione di ciò che abbiamo percepito
attraverso i sensi e ciò che opiniamo con l'intelletto. E nel
trattato sulla memoria dice che la memoria è un portato
dell'immaginazione; dunque immaginazione e memoria non sono
separabili. Ricordare vuol dire in qualche modo immaginare la cosa
ricordata, ripensarla fantasticamente. É anche l'idea di
Giambattista Vico, il quale diceva che “la memoria è l'istesso
della fantasia”.
(…)
Insomma
le immagini sono uno stato ricettivo a cui ci apriamo, e nei termini
di Aristotele uno stato ricettivo è una passione (l'opposto
dell'azione). Dunque tutto il sentire dei sensi, ossia la percezione,
corrisponde a forme di passione. Non è nella forma bruta dello
scambio di informazioni che capiamo qualcosa del mondo esterno, ma
nel processo con cui ci proiettiamo verso ciò che si configura come
un’esperienza e una passione.
L'esempio
più importante è Giambattista Vico. La rivoluzione di Vico sta nel
concepire l'immaginazione non come una produzione soggettiva, ma come
un filo che collega gli uomini. In altre parole: noi possiamo capire
fantasticazioni e mitologie molto lontane da noi, perché anche la
nostra forma mentis è disposta a produrre fantasticazioni e
mitologie simili, cominciando da quando eravamo bambini. Solo così
si possono rimemorare i processi che hanno dato luogo a costruzioni
mitologiche e antropologiche, secondo gli stadi della vita
collettiva. In questo senso la fantasia non è qualcosa di
soggettivo, ma una vasta memoria collettiva che ci collega al passato
e anche a ciò che è lontano da noi, fino ai limiti dell'umano. La
scienza che si occupa di queste cose, Vico la chiama “sapienza
poetica”, come scienza delle forme fantastiche con cui gli uomini
si intendono. Questo è il succo del pensiero di Vico. Ed è il
presupposto di ogni antropologia, che è una memoria dove i
cosiddetti primitivi non stanno più in una opposizione categorica
rispetto a noi.
(…)
Ma,
posto questo schema, dove Don Chisciotte ha sempre torto in quanto
invasato da fantasie passate di moda, poi succede che sono le sue
tendenze fantasticanti a arricchire di senso il mondo. Sono le sue
fantasie e le sue riflessioni a farci intravedere l’aperto mondo
sotto l’aperto cielo come la nostra unica vera casa. Tutto il Don
Chisciotte resta un esempio meraviglioso di questa potenza del
pensiero figurale che ci guida verso un'apertura al mondo esterno.
1 > Fusignano
Inaugurazione sabato 10
novembre ore 17
11.11.2018 – 20.1.2019
• Museo civico San Rocco
Andrea Chiesi / Daniele Galliano
• Centro culturale Il
Granaio Marta Sesana / Giuliano Sale
2 > Cotignola
Museo
civico Luigi Varoli
Inaugurazione sabato 24
novembre ore 16
25.11.2018 – 27.1.2019
•
Palazzo Sforza
piano terra
sala 1 Juan
Carlos Ceci, Enrico Tealdi, Rosario Vicidomini
sala 2 Sabrina
Casadei, Beatrice Meoni, Julie Rebecca Poulain
sala 3 Manuel
Portioli
primo piano
pinacoteca
Riccardo
Cavallini
secondo piano
Silvia Argiolas,
Giovanni Manunta Pastorello, Agnese Guido, Andrea Fiorino
•
Spazio
corso Sforza 27 Elisa
Filomena, Azadeh Ardalan
•
Casa
studio Luigi Varoli Francesco
Bocchini
•
Palazzo
Pezzi
Piano terra Stefano
W. Pasquini / Marco Bettio - Ettore Pinelli / Giorgio
Pignotti - Francesco Cuna / Angelo Bellobono
Primo piano Andrea
Grotto – Barbara De Vivi / Benedetto di Francesco – Giuliano
Guatta / Paolo de Biasi – Luca Moscariello / Simone Luschi /
Amandine Samyn / Giulio Saverio Rossi
3 > Ravenna
VIBRA spazio contemporaneo
d'idee
Inaugurazione venerdì 7
dicembre ore 18.30
Gio
Pistone / Nicola Alessandrini
8.12.2018 – 13.1.2019
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