giovedì 4 ottobre 2018

Selvatico [tredici] Fantasia/Fantasma


Selvatico [tredici] 2018

Fantasia/Fantasma

Pittura tra immaginazione e memoria

A cura di Massimiliano Fabbri








Selvatico disegna una mappa che congiunge luoghi, musei, gallerie ed edifici storici diffusi nel territorio romagnolo, intrecciando questa pluralità di spazi, e le storie contenute in essi, all’interno di una geografia e percorso espositivo che coinvolge e connette opere e artisti contemporanei, con una particolare attenzione rivolta qui alla pittura e a quella che sembra, a tutti gli effetti, una sua ennesima stagione felice.
Non che la pittura sia mai stata abbandonata a dire il vero, o che questa fase rappresenti un ritorno inatteso a questo linguaggio dopo anni di silenzio, deserto e nascondimenti, anche se è evidente che da parte di una fitta schiera di giovani autori la pratica del dipingere è tornata a essere nuovamente centrale. E tangibile poi il moltiplicarsi vertiginoso di mostre che si impegnano a fare luce su questo mezzo e a scrutarlo e indagarlo, senza per questo poter mai scrivere la parola definitiva, trattandosi sempre e comunque di un linguaggio imprendibile e sfuggente proprio perché vitale.

Selvatico propone così, come è stato nelle sue ultime edizioni, a cui si ricollega come ripresa di un filo e discorso interrotti e sospesi, una serie di mostre che guardano principalmente alla pittura.
E dall’esplorazione sulla pittura italiana riparte senza tralasciare al contempo alcune delle sue molte ramificazioni, ibridazioni e innesti con altre discipline tra cui disegno e scultura, fumetto e installazione, a ribadire la mobilità, vivacità e forza di questo mezzo, linguaggio, disciplina e mondo.

Cuore e centro del progetto è il Museo civico Luigi Varoli di Cotignola che, anche a partire dalla felice vicenda rappresentata dal cenacolo varoliano in bassa Romagna nella prima metà del novecento, traduce questa esperienza e la riattualizza, allargando ed espandendo questa vocazione ostinata che mira a favorire, portare e coltivare l’arte in provincia come presenza necessaria, vitale e urgente. Lo fa guardando a piccole realtà, facendo rete, e segnalando sempre il suo sguardo periferico e il suo operare ai margini, una sorta di giusta distanza che diventa una delle chiavi per cercare di orientarsi, esplorare il presente, guardare il mondo e rilanciare domande.
Una provincia che sembra poter essere ancora, quasi resistente o dimenticata, panorama e scenario disponibile all’incontro, al confronto e dialogo, anche a ribadire una caratteristica propria e specifica del territorio italiano tutto, vera e propria costellazione di piccoli centri che rende luoghi, paesaggi, presenze e testimonianze artistiche un prezioso unicum, indivisibile e fatto di diversità, cucito lentamente da scambi, rimandi, incontri, influenze e aperture.
Un tessuto su cui Selvatico prova a innestare nuovi sguardi, quelli di una serie di artisti di varia provenienza geografica, tra giovani autori e altri più affermati e conosciuti, capaci di attivare una relazione fertile tra luoghi e opere e operatori, tra il vicino e il lontano, tra una dimensione locale non arroccata o impaurita e una nazionale.

Ascolto e coltivazione sono le modalità di questo progetto che mette al centro i musei, intesi non solo come contenitori e raccolte, ma anche come luoghi di produzione aperti al contemporaneo e custodi di un’identità mobile e sempre in trasformazione.
Un ruolo, una collocazione e vocazione che caratterizzano Selvatico come sguardo e spazio indipendente tra le cui funzioni c’è sicuramente quella di cercare di offrire e segnalare punti di vista altri, assumendo rischi nel disegnare traiettorie divergenti e non somiglianti, acquisendo modi di fare e vedere che seguono pratiche e movimenti diversi rispetto a quel che può avvenire in un sistema che invece non sembra poter prescindere, nel bene e nel male, dal valore del mercato e dell’economia.

Dopo le mostre del 2017 che avevano a che fare con l'immagine e ombra della foresta, metafora vegetale del dipingere e della pittura stessa, e anche sguardo che si volgeva all'attenzione da parte di molti artisti al dato naturale e sua rappresentazione, il prossimo episodio di Selvatico parte invece dall’incontro, coesistenza e giustapposizione di due termini, Fantasia/Fantasma, a segnalare più che un tema specifico o un'umore, un’affinità o radice comune presente nelle due parole, un intrecciarsi e sfumare che ci sembra abbracciare bene la condizione propria del formarsi delle immagini, prima ancora dei contrasti e divergenze apparenti tra le due suggestioni e concetti, che infine si rivelano non del tutto separabili, ma estremi di una polarità.

Emerge qui una tensione, anche drammatica, che è della rappresentazione e propria della pittura, da una parte il rischio costante e l’insidia della possibile sparizione dell’immagine dovuta al suo stratificarsi in pelli che negano e sommergono segni e gesti precedenti, e, dall'altra, una sua capacità di dare spazio alla narrazione e alle storie, dove il dipinto è ancora finzione, trappola e macchina scenica, inganno, finestra che si apre e affaccia spalancando mondi, e in cui il mondo è, non solo ricordato o visto, ma immaginato e fantasticato ogni volta; o ricondotto a sintesi e precisione misteriosa di pura immagine fatta da segno tremante. E pittura che in un gioco di specchi riflette su se stessa.

Due o più direzioni, non per forza in contrasto o alternative, ma molte volte scivolanti e slittanti l’una all’altra, capaci di nutrirsi a vicenda, o di ostacolarsi e battagliare.
Pittura come animale o forma collettiva, oscillante tra racconto e sparizione, ora descrittiva, esatta, sintetica o ricca di dettagli, ora vicina alla perdita e all'abbandono, come impegnata in una sorta di lotta e tentativo per salvare residui e pezzi di visione, memorie e tracce del tempo che si sommano e crescono e negano coprendosi quasi pompeianamente. O, per opposto, il ricorso al non finito ancora.

Fantasia e fantasma, o anche immaginazione e memoria: due parole che hanno la stessa origine a ribadire una radice comune delle immagini e del processo mentale che ci porta a pensarne e farne di nuove, o a tradurre, trasformare e tradire quelle già esistenti.
La mostra affianca queste molteplici direzioni e polarità della pittura contemporanea, contrapponendole talvolta, integrandole indistinguibili altrove, tracciando nuove piste e sentieri che conducano fuori dal bosco o che ci sperdano in esso.
Teste e foreste, memorie vegetali, paesaggi con figure, scenari, luce e ombra, le cose e gli oggetti come custodi muti delle storie, animali, fiabe e racconti.

L'idea della mostra gira intorno a uno scritto di Gianni Celati intitolato Sulla fantasia contenuto in “Conversazioni del vento volatore” edito da Quodlibet nel 2011. Ne riportiamo qui alcuni passaggi che sembrano adattarsi bene, non solo al processo e farsi del pensiero e delle immagini, ma anche alla pratica stessa del dipingere:

Il fatto è che noi ci serviamo della fantasia tutti i momenti per interpretare le cose, cercando di capire quello che è fuori dalla nostra portata; e tutto il nostro sistema emotivo dipende da come immaginiamo ciò che non è sotto i nostri occhi. Quando abbiamo paura, quando siamo a disagio, quando siamo gelosi, quando facciamo progetti, entra in gioco l'atto del fantasticare. Quando siamo innamorati non facciamo che ripassarci il film delle fantasie sull'essere amato, e anche quando riflettiamo cerchiamo aiuto nell'immaginazione o nella fantasticazione. Il fantasticare è così assiduo che lo diamo per scontato. Però se si inceppa abbiamo un campanello d'allarme, che è la noia: la noia è una specie di nebbia mentale che blocca gli slanci immaginativi, e rende fastidioso il flusso di stimoli che viene dal mondo esterno.
(…)
Aristotele chiama in due modi le immagini che sorgono dalla mente: phantasma e phantasia, entrambi dal verbo phaino, “mostrare”. Sono figurazioni che “si mostrano” in noi come un richiamo a percezioni avute o possibili. Queste immagini della mente, dice Aristotele, sono una combinazione di ciò che abbiamo percepito attraverso i sensi e ciò che opiniamo con l'intelletto. E nel trattato sulla memoria dice che la memoria è un portato dell'immaginazione; dunque immaginazione e memoria non sono separabili. Ricordare vuol dire in qualche modo immaginare la cosa ricordata, ripensarla fantasticamente. É anche l'idea di Giambattista Vico, il quale diceva che “la memoria è l'istesso della fantasia”.

(…)
Insomma le immagini sono uno stato ricettivo a cui ci apriamo, e nei termini di Aristotele uno stato ricettivo è una passione (l'opposto dell'azione). Dunque tutto il sentire dei sensi, ossia la percezione, corrisponde a forme di passione. Non è nella forma bruta dello scambio di informazioni che capiamo qualcosa del mondo esterno, ma nel processo con cui ci proiettiamo verso ciò che si configura come un’esperienza e una passione.

L'esempio più importante è Giambattista Vico. La rivoluzione di Vico sta nel concepire l'immaginazione non come una produzione soggettiva, ma come un filo che collega gli uomini. In altre parole: noi possiamo capire fantasticazioni e mitologie molto lontane da noi, perché anche la nostra forma mentis è disposta a produrre fantasticazioni e mitologie simili, cominciando da quando eravamo bambini. Solo così si possono rimemorare i processi che hanno dato luogo a costruzioni mitologiche e antropologiche, secondo gli stadi della vita collettiva. In questo senso la fantasia non è qualcosa di soggettivo, ma una vasta memoria collettiva che ci collega al passato e anche a ciò che è lontano da noi, fino ai limiti dell'umano. La scienza che si occupa di queste cose, Vico la chiama “sapienza poetica”, come scienza delle forme fantastiche con cui gli uomini si intendono. Questo è il succo del pensiero di Vico. Ed è il presupposto di ogni antropologia, che è una memoria dove i cosiddetti primitivi non stanno più in una opposizione categorica rispetto a noi.
(…)
Ma, posto questo schema, dove Don Chisciotte ha sempre torto in quanto invasato da fantasie passate di moda, poi succede che sono le sue tendenze fantasticanti a arricchire di senso il mondo. Sono le sue fantasie e le sue riflessioni a farci intravedere l’aperto mondo sotto l’aperto cielo come la nostra unica vera casa. Tutto il Don Chisciotte resta un esempio meraviglioso di questa potenza del pensiero figurale che ci guida verso un'apertura al mondo esterno.


1 > Fusignano
Inaugurazione sabato 10 novembre ore 17
11.11.2018 – 20.1.2019
• Museo civico San Rocco Andrea Chiesi / Daniele Galliano
• Centro culturale Il Granaio Marta Sesana / Giuliano Sale

2 > Cotignola
Museo civico Luigi Varoli
Inaugurazione sabato 24 novembre ore 16
25.11.2018 – 27.1.2019

Palazzo Sforza
piano terra
sala 1 Juan Carlos Ceci, Enrico Tealdi, Rosario Vicidomini
sala 2 Sabrina Casadei, Beatrice Meoni, Julie Rebecca Poulain
sala 3 Manuel Portioli
primo piano pinacoteca
Riccardo Cavallini
secondo piano
Silvia Argiolas, Giovanni Manunta Pastorello, Agnese Guido, Andrea Fiorino

• Spazio corso Sforza 27 Elisa Filomena, Azadeh Ardalan
• Casa studio Luigi Varoli Francesco Bocchini

Palazzo Pezzi
Piano terra Stefano W. Pasquini / Marco Bettio - Ettore Pinelli / Giorgio Pignotti - Francesco Cuna / Angelo Bellobono
Primo piano Andrea Grotto – Barbara De Vivi / Benedetto di Francesco – Giuliano Guatta / Paolo de Biasi – Luca Moscariello / Simone Luschi / Amandine Samyn / Giulio Saverio Rossi

3 > Ravenna
VIBRA spazio contemporaneo d'idee
Inaugurazione venerdì 7 dicembre ore 18.30
Gio Pistone / Nicola Alessandrini
8.12.2018 – 13.1.2019


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