Selvatico [14]
2019
Atlante
dei margini, delle superfici e
dei frammenti
Cinquanta
artisti (più uno) per una mostra animista sulla pelle della
scultura, sul disegno, le cose e gli innesti. E sulla pittura sempre,
intorno al corpo e a quasi nature. Perduti nel dettaglio.
A cura di Massimiliano
Fabbri
• Fusignano Museo civico San
Rocco
Michele Bubacco | Paolo
Maggis | Matilde Baglivo | Federica Poletti | Valentina Biasetti
| Nero/Alessandro Neretti | Andrea Salvatori | Dem |
Alessandro Finocchiaro | Giulio Catelli | Ilaria Margutti
• Cotignola Museo civico
Luigi Varoli
Chris Rocchegiani | Thomas
Scalco | Elena Hamerski | Ilaria Cuccagna | Elisa Bertaglia | Fabio
Romano | Matteo Lucca | Silvia
Vendramel | CaCO3
|Giorgia Severi | Federico Guerri | Francesco Geronazzo | Manuela
Vallicelli | Alice Padovani | Ettore Frani | Chiara Lecca | Giovanna
Caimmi | James Kalinda | Chiara Enzo
| Valentina D’Accardi | Sarah Ledda | Milena Sgambato |
Barbara Fragogna | Maurizio Bongiovanni | Alice Faloretti | Mattia
Noal | Giacomo Modolo | Elisa Muliere
| Giulia Manfredi | Luca Piovaccari | Giovanna Sarti
• Villanova di Bagnacavallo
Ecomuseo delle Erbe Palustri
Ana
Hillar | Giorgia Moretti | Luca Zarattini | Amanda Chiarucci |
Giacomo Cossio | Paolo Buzzi | Michele Buda | Raniero Bittante
Testi in catalogo
Sabrina
Foschini | Massimo Pulini | Claudio Musso | Irene Biolchini |
Gabriele Salvaterra | Alessandra Bigi Iotti | Riccardo Ciavolella |
Nicola Samorì
Selvatico/Atlante
è una mostra che si articola congiungendo più spazi espositivi,
collegando sedi museali, case sonnambule, palazzi disabitati e negozi
sfitti grazie al lavoro, alle opere e ai differenti linguaggi di un
cuore numeroso di artisti chiamato a rispondere contemporaneamente
sia alle risonanze ed echi del luogo, che alle domande, stimoli e
inneschi del progetto espositivo.
Atlante
dei margini, delle superfici e dei frammenti è un titolo che sta
a indicare una possibile pista o direzione dello sguardo; una chiave
di lettura che si rivolge agli artisti invitati quanto allo
spettatore, cercando di far emergere, grazie a un sistema di
risonanze e corrispondenze, un andamento nell'aria o un sentire che
ci è parso riscontare in modi di fare e vedere, e idee del mondo,
all'apparenza molto distanti tra loro. Un tentativo di orientamento.
Selvatico
non è solo una mostra collettiva: differente e anomalo il suo
costruirsi, qualcosa che assomiglia al formarsi di una comunità, per
quanto provvisoria, precaria ed effimera, con l’esposizione e la
sua mappa che crescono e prendono forma precisandosi e definendosi
insieme agli artisti in una sorta di esplorazione e incontro sul
campo.
Così,
nel cercare di descrivere il procedimento che porta alla crescita del
progetto e della mostra, ricorriamo ancora una volta alla metafora
dell’andamento vegetale, una ramificazione del pensiero che prende
corpo e spazio, e sboccia nella sua forma migliore, l’unica infine
fra le molte possibili.
La
mostra come un organismo quindi, con un respiro, funzionante per
relazioni, incastri e intrecci, dialoghi, trame, rimandi, gemmazioni,
connessioni e corrispondenze. Un sistema di innesti e congiunzioni,
un equilibrio fatto di affinità e contrasti tra le opere e gli
autori, gli spazi e le persone.
Una
mostra che in questo suo nuovo episodio inquadra e mette al centro,
già a partire dal titolo che la guida, una contraddizione interna,
aperta e pulsante, che ci sembra attraversare molte delle pratiche,
indagini e ricerche, delle reazioni e movimenti delle arti visive: da
una parte l’immagine dell’atlante, l’archivio e catalogo che si
fanno mondo, il corpo geografia e la mappa, gigante che regge la
sfera celeste, prima vertebra su cui poggia la testa, e quindi una
certa tensione enciclopedica, o dell'opera che prova a contenere o
essere parte per il tutto, storia del mondo per oggetti; dall’altra
l’attrazione invincibile e la voragine risucchiante nei confronti
del particolare, il gorgo e vortice del dettaglio, la superficie e la
pelle, margini e frammenti, derive e sperdimenti, qualcosa che
assomiglia da parte dell’artista al bisogno di spostarsi di lato,
uno smarrirsi, un rimanere un passo indietro, o lungo i bordi e
confini.
Atlante
è la volontà testarda, l’ossessione all’universale, il compito
schiacciante, con fatiche e lentezze, stupori, scoperte e meraviglie
di collezionismo, raccolte e compendi; l’aspirazione, ambizione o
desiderio di poter costruire uno sguardo nuovo e un pensiero archivio
capace di comprendere, abbracciare e contenere sciami, complessità e
moltitudini, pianeti perfetti, riconducendo infine queste pluralità,
intimità e instabilità, a una forma unica e irripetibile, a un
sistema ed equilibrio di segni e sensi.
E,
a fare da controcanto a tutto questo, la difficoltà e impossibilità,
sperimentata quotidianamente, di abbracciare questo imprendibile
tutto, fondo del mare, cascate, oceano di immagini e informazioni,
tempi e memorie, maree, vegetazioni, ossa, detriti e ceramiche e
altre cose sepolte che ci sommergono o abbandoniamo per sopravvivere;
e l’immobilità paralizzante talvolta, nel cominciare qualcosa, nel
voler cercare di decifrare un mondo che invece sfugge, si parcellizza
in polveri volatili, fatto com’è sempre più di frammenti e
particolari galleggianti sospesi nell’aria, attimi spezzati e
rotti, e scarsità di tempo che non ci permette di approfondire o
uscire dalla caverna.
Dalle
superfici riparte questa mostra, da questo ossimoro di una visione
piatta e stratificata al contempo, da questa intelligenza tattile e
visiva che si imparenta alla geologia e archeologia.
Così,
alla luce di tutto questo, è forse lecito pensare a qualcosa che
assomigli a un atlante ossimorico dei bordi, dei confini e dei
margini, e a uno sguardo che diventa presa di posizione politica,
resistente e selvatico, enciclopedia e atlante dei pezzi sparsi,
geografia sentimentale del frammento più o meno inutile, magico
imprendibile misterioso.
Un
tempo fiume e sua immobilità ciclica che ritorna, identica e
immutabile nella pratica quotidiana e artigianale dell’artista, e
la materia che diventa dato irrinunciabile, luogo dell’accadimento,
scenario potenzialmente sempre imprevisto proprio grazie a questa
disciplina della ripetizione.
E
questo, in fondo, è uno dei compiti dell’arte, da sempre, mettere
ordine al mondo e resistere alle forze, fare da argine allo
sradicamento e perdita, alla dissoluzione e smarrimento dell'io e
della presenza, occuparsi delle ferite e rovine, delle rotture, dei
guasti, resti e detriti, e dei corpi che stanno ai margini.
Selvatico
è una risposta visiva, aperta, doppia, sfaccettata e molteplice, che
si affida agli sguardi di una moltitudine di artisti di varia
provenienza geografica e anagrafica, con percorsi, vite e storie
differenti, scelti e invitati a far parte del percorso espositivo
perché in risonanza, vicinanza e sintonia con le domande rilanciate
dalla mostra. E suggestioni che, in un vero e proprio cortocircuito,
sono esse stesse emerse dalle ricerche ed esplorazioni di questi
autori, piena e fertile circolarità che rende complicato e non
sempre possibile definire chi e cosa sia venuto prima, se l’interesse
verso alcune opere, o se invece siano il tema o l’umore individuato
ad aver orientato sguardi e attenzioni, aprendo strade
nell’indistinto, accendendo fuochi, inneschi e scintille
all’orizzonte, e possibili sentieri nella foresta.
E
gli artisti chiamati qui a raccolta, in forme e modi differenti,
possono essere ricondotti a un ambito di convergenza comune, un
disegno di risonanze, riverberi e affinità che mette al centro del
lavoro, delle idee e della sperimentazione, una dimensione
artigianale e, di conseguenza, un certo grado di imperfezione,
imprecisione ed errore; artigianalità intesa qui come processo
vitale insostituibile, desiderante sensuale drammatico, di scoperta e
approccio al mondo, una crescita che passa attraverso una curiosità
mai sommersa e perduta nei confronti dei materiali e della materia, e
dei suoi meccanismi, casualità e movimenti imprevisti.
Il
cuore della mostra è fatto da un dialogo tra due esposizioni e
mostre differenti e complementari, che si snodano e prendono forma a
partire dai musei di due paesi distanti tra loro pochi chilometri:
Cotignola e Fusignano, nella bassa Romagna, una specie di terra di
mezzo che non è già più riviera e non ancora appennino, e
dove la campagna è una
specie di industria.
E
una terza mostra, leggermente differita nella sua apertura, che si
muove in uno spazio nuovo per Selvatico, un ecomuseo, quello delle
Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo, sempre in provincia di
Ravenna.
A
Cotignola la mostra si irradia a partire dal Museo civico
ramificandosi dentro a una serie di spazi recuperati per l'occasione,
tra edifici storici, case vuote e negozi sfitti che si affacciano
tutti su corso Sforza, la via del museo, che ha sede nell’antica
casa degli Attendoli, a pochi passi dal fiume Senio, teatro e argine
quest'ultimo di una lunga battaglia che mise sotto assedio il paese
durante la Seconda Guerra mondiale.
Qui
trentuno artisti, cinque gli spazi espositivi, e mostra che ruota
intorno al museo dedicato a Luigi Varoli (1889-1958) che fu molte
cose insieme, pittore, scultore, musicista, conservatore, uomo
giusto, maestro ed educatore, e che seppe creare dentro alla sua casa
studio e alla scuola Arti e Mestieri, ostinatamente, in maniera
visionaria e resistente, stupida e contraria, una sorta di cenacolo
che ha permesso a molti artisti di emergere o trovare qui un approdo
o sponda momentanea. E Selvatico, da questa energia al tempo stesso
centripeta e centrifuga, riparte, connettendosi a questo spirito,
portando l’arte contemporanea, non solo genericamente in provincia,
ma davvero ai margini e confini, nella periferia e campagna piena,
nutrendola con nuovi incontri e relazioni e, viceversa, nutrendo gli
artisti con pratiche non somiglianti ad altro.
E
dell’arte, questo suo essere diffusa e distribuita secondo
dinamiche e fioriture imprevedibili, e l'essere disposta a calarsi in
contesti che funzionano diversamente, misurandosi con ostacoli e
difficoltà, è anche, in modalità molte e differenti, una
tradizione italiana, una peculiarità capillare che continua a essere
sorprendente, vitale e necessaria: un museo diffuso, un museo che è
inseparabile dal paesaggio, il susseguirsi di scuole e centri, scambi
e pensieri, tutto questo costituisce la nostra geografia più intima,
vera e profonda.
A
Fusignano tutto avviene vorticosamente dentro al Museo civico San
Rocco, un ex ospedale, un edificio ottocentesco che conserva
nell'atrio e colonnato di ingresso al primo piano, due belle statue
in gesso di Visani ad accoglierci e accompagnarci in un rinnovato
spazio espositivo e museale tra cui spicca la figura anomala del
pittore Annibale Bergamini.
Undici
sono gli artisti dentro al Museo San Rocco; all’ingresso, al primo
piano, a mettere ordine e dispiegare in un solo colpo d’occhio quel
che troveremo in mostra e nelle sale, c'è una parete su cui è
allestita una quadreria composta da un disegno a testa per ciascun
autore presente: schizzi, progetti, appunti sparsi, disegni finiti o
incompleti, la carta come membrana sensibile e il disegno come una
delle spine dorsali di questa mostra, non a caso una delle cose che
qui si incontrano subito, prima che il percorso si ramifichi
proponendo e aprendo varie direzioni, piste che si riprendono poi e
intrecciano come fiumi carsici nel dispiegarsi circolare del percorso
espositivo.
Infine
l'Ecomuseo delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo, museo
che che raccoglie sguardi antropologici, saperi e oggetti della
memoria quasi perduti salvati, davvero un atlante e un archivio
magico delle storie, ragnatela delicata e preziosa, intreccio di
vite, genti e civiltà tra terra e acqua. In questo museo e giardino
otto artisti: un solo lavoro a testa per un dialogo diretto e
incisivo con la densità e pienezza della raccolta e delle sale; una
narrazione che ovviamente supera gli oggetti conservati a partire dal
rapporto osmotico tra natura, l’uomo e i suoi manufatti e visioni
del mondo; la terra e l'acqua, le stagioni e gli elementi. E poi il
fantastico, tra favole, sortilegi, simboli, feticci e bestiari.
Innesti e metamorfosi, trame e intrecci: il riutilizzo e la seconda
vita delle cose, l'invenzione perfezionata nel tempo, e una specie di
economia povera e funzionalità degli oggetti che si trasforma molto
spesso in bellezza.
Selvatico
disegna così un percorso espositivo che, attraversando ed
espandendosi tra le varie sedi e sezioni connesse tra loro, assume la
forma complessa e frastagliata di un arcipelago, o di una ricca e
complessa costellazione punteggiata da piccole personali, con
risonanze molte e un esteso dialogo e confronto capace di abbracciare
e coinvolgere cinquanta artiste e artisti tra disegno, scultura,
ceramica, collage, ricamo, fotografia, incisione e pittura.
La
mappa che la mostra traccia e proietta, è un susseguirsi un po'
labirintico, a tratti domestico, di luoghi, musei, edifici, piani,
camere e interni, abitati temporaneamente da opere e installazioni
che si affiancano e sovrappongono alle storie e memorie presenti,
rilanciandole, con un andamento che procede quasi per scatole cinesi,
alternando temperature, pensieri, linguaggi, tecniche, temi e materie
differenti a dettare il ritmo e l’avvicendarsi degli umori e
cromie, a creare sistemi di senso che governano delle quasi sezioni e
sottoinsiemi in cui si raccoglie, distende, sovrappone, interseca e
presenta infine il percorso espositivo: dall'insieme al dettaglio o
dalla singola opera alla stanza e mostra tutta. E mostra che può
essere letta così, attraverso un doppio movimento o modalità, ossia
a partire da un singolo disegno, dipinto o scultura, per connettere
via via gli incontri e le cose viste in un processo di orientamento,
svelamento e gioco a incastri a cui si aggiunge ogni volta un
tassello a chiarire, decifrare, svelare e completare il disegno
complessivo, oppure partendo dalla forma e struttura che governano il
percorso espositivo, e da queste, incontrare le presenze, scendendo
ed entrando nel particolare, attraverso un movimento contrario a
quello precedente e che parte ora da una specie di visione a volo
d'uccello, che si abbassa poi fino a entrare nel paesaggio o
panorama, fin quasi a perdersi nel frammento e nel particolare.
Chiamando
sempre e comunque chi guarda, a congiungere e connettere, trovando
ordine tra le cose e i pensieri, e suggerendo poi nuovi rapporti e
traiettorie personali, altri sistemi di senso e collegamenti.
Foreste.
Fantasie e fantasmi. Volti e sguardi. Giardini. Mappe e labirinti.
Luce e ombra. Archivi e raccolte. Sottrazioni e accumuli. Naturalia e
mirabilia. Mondi magici. Immaginazioni e memorie. Il bianco e il
nero. Il colore. La pelle della scultura. Il disegno e la pittura.
Corpi, paesaggi e geografie.
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